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“Prima o poi qualcosa sembra chiamarci su una strada particolare. Forse ricorderete questo “qualcosa” come un momento di segnale nell’infanzia, quando un impulso dal nulla, un’attrazione, una particolare piega degli eventi hanno colpito come un’annunciazione: Questo è ciò che devo fare, questo è ciò che devo avere. Questo è ciò che sono”. (Il codice dell’anima: alla ricerca del carattere e della vocazione, James Hillman)
Esiste l’idea, diffusa tra alcuni pensatori, che tutti noi possediamo una vocazione personale, un destino unico per noi. Lo scopo principale della nostra vita, secondo questa idea, è seguire questa chiamata e realizzare il nostro destino.
Quest’idea ha origini antiche; Platone l’ha tessuta in forma mitica nel suo Mito di Er. Prima di nascere, secondo il mito, la nostra anima sceglie uno scopo da realizzare sulla terra. Prima di nascere attraversiamo il fiume smemorato di Lethe e, bevendo dalle sue acque, emergiamo nella vita ignorando il destino che la nostra anima ha scelto per noi. Tuttavia, siamo accompagnati su questa terra da un daimon, un compagno spirituale, che agisce come “portatore del nostro destino” e ci assicura di compiere il destino che la nostra anima aveva scelto prima della nascita.
L’idea che un daimon ci accompagni nella vita come “portatore del nostro destino” ha una lunga e ricca storia. Eraclito, prima di Platone, affermava che “il daimon di un uomo è il suo destino”. Il daimon, per Eraclito, era una sorta di forza o legge intrinseca che determinava il corso della vita.
In tempi più recenti, James Hillman ha usato il daimon per spiegare l’impulso che tutti noi sentiamo di scoprire e allineare la nostra vita con una vocazione personale, unica per la nostra individualità e i nostri interessi, a cui possiamo dedicare appassionatamente la nostra vita.
Hillman ha concepito il daimon come un complesso psicologico o una forza esistente in ognuno di noi, la cui funzione è quella di aiutarci a trovare la nostra vocazione personale e di fornirci la motivazione per seguirla.
In linea con questa idea, Robert Greene, autore del libro Mastery, ha notato che nel corso della storia molti geni hanno parlato di un daimon, o voce interiore, che li ha accompagnati per tutta la vita:
“Per Napoleone Bonaparte era la sua “stella” che sentiva sempre in ascesa quando faceva la mossa giusta. Per Socrate era il suo daimon, una voce che sentiva… che inevitabilmente gli parlava in negativo, dicendogli cosa evitare. Anche Goethe lo chiamava daimon, una sorta di spirito che abitava dentro di lui e lo costringeva a compiere il suo destino. In tempi più moderni, Albert Einstein parlò di una sorta di voce interiore che dava forma alla direzione delle sue speculazioni. Tutte queste sono variazioni di ciò che Leonardo da Vinci sperimentò con il proprio senso del destino”. (Mastery, Robert Greene)
Per la maggior parte di noi questa voce interiore è più pronunciata durante l’infanzia e l’adolescenza, e diventa meno prominente con l’età, quando le esigenze e i doveri della vita adulta diventano una realtà concreta:
“Tra i vari esseri possibili, ogni uomo ne trova sempre uno che è il suo vero e autentico essere. La voce che lo chiama a quell’essere autentico è ciò che chiamiamo “vocazione”. Ma la maggioranza degli uomini si dedica a mettere a tacere la voce della vocazione e a rifiutarsi di ascoltarla. Riescono a fare rumore dentro di sé… a distrarre la propria attenzione per non sentirla; e si defraudano sostituendo al proprio io autentico un falso corso di vita”. (José Ortega Y Gasset)
Uno dei motivi per cui le persone mettono a tacere la “voce della vocazione” è la percezione dei rischi che si corrono nel seguirla: bisogna sacrificare comodità, status e ricchezza a breve termine e impegnarsi in un lavoro dall’esito incerto. Tuttavia, reprimere questa vocazione interiore è distruttivo e spesso porta alla formazione di quella che può essere definita una rabbia silenziosa: “l’assenza, la rabbia e la paralisi sul divano sono tutti sintomi di un’anima alla ricerca di una chiamata perduta a qualcosa di diverso e di superiore” (Hillman). (Hillman). L’individuo che perde il contatto con il proprio daimon diventa un guscio vuoto della persona che avrebbe potuto essere:
“Presente nel corpo e assente nello spirito, si sdraia sul divano, svergognato dal suo stesso daimon per i potenziali della sua anima che non vogliono essere sottomessi. Si sente interiormente sovversivo, immaginando nella sua passività estremi di aggressività e desiderio che devono essere soppressi. Soluzione: più lavoro, più soldi, più bevande, più peso, più cose”. (Il codice dell’anima: alla ricerca del carattere e della vocazione, James Hillman).
Per evitare di cadere in uno stile di vita di questo tipo, è essenziale sintonizzarsi con il richiamo del destino che emana dall’interno e imparare a scorgere il funzionamento interno del daimon, utilizzando i suoi segnali e segni per aiutarci a vivere un’esistenza più mirata. Questo può essere fatto guardando indietro alla nostra vita e cercando un modello nel percorso apparentemente caotico che la nostra vita ha seguito, così come prestando attenzione alla voce interiore e ai desideri, spesso sottili, che sembrano spingerci verso una determinata direzione.
“Perché il daimon sorprende. Attraversa le mie intenzioni con i suoi interventi, a volte con una piccola fitta di esitazione, a volte con una rapida cotta per qualcuno o qualcosa. Queste sorprese sembrano piccole e irrazionali, si possono ignorare; eppure trasmettono anche un senso di importanza, che può far dire a posteriori: “Il destino”” (The Soul’s Code: In Search of Character and Calling, James Hillman).
Tuttavia, anche se troviamo la nostra vocazione personale, abbiamo la libertà di scegliere se seguirla o ignorarla. Se scegliamo di ignorarla, possiamo essere certi che la nostra “voce interiore” non sparirà. Sarà lì, che ne siamo consapevoli o meno, a spingerci nella direzione del nostro destino fino alle nostre ultime ore:
“Una chiamata può essere rimandata, evitata, mancata a intermittenza. Può anche possedervi completamente. Comunque sia, alla fine uscirà. Fa la sua richiesta. Il daimon non se ne va” (Il codice dell’anima: alla ricerca del carattere e della vocazione, James Hillman).