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Nel suo libro Il mito di Sisifo, il filosofo Albert Camus ha scritto quanto segue sulla routine di molte persone ai giorni nostri:
“Sveglia, tram, quattro ore in ufficio o in fabbrica, pasto, tram, quattro ore di lavoro, pasto, sonno, e lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì e sabato secondo lo stesso ritmo”. (Il mito di Sisifo)
Questo stile di vita, anche se spesso faticoso e inappagante, viene seguito dalla maggior parte degli individui per la maggior parte del tempo senza alcun dubbio. Di tanto in tanto, però, un’esperienza preoccupante può scuotere dal torpore della veglia, sia che si tratti di un senso di isolamento dagli altri e di disconnessione dalla realtà, sia che si tratti di una consapevolezza della natura fugace del tempo, sia che si tratti di una vivida realizzazione della morte che ci attende a un certo punto nel futuro.
Tali esperienze suscitano sentimenti di ansia, alienazione e insoddisfazione nei confronti della vita, portando a confrontarsi con domande relative alla natura e allo scopo dell’esistenza umana.
“Ma un giorno sorge il “perché””, scrive Camus, “e tutto comincia in quella stanchezza che si tinge di stupore”. (Il mito di Sisifo)
Questo “perché”, secondo Camus, è un “anelito all’unità”, che può essere inteso come un desiderio di comprendere la natura dell’universo e un’esigenza di unirsi alla vita, riparando così all’onnipresente senso di separazione che sta alla base della condizione umana:
“Il desiderio più profondo della mente”, scriveva, “anche nelle sue operazioni più elaborate, è parallelo al sentimento inconscio dell’uomo di fronte al suo universo: è un’insistenza sulla familiarità, un appetito per la chiarezza… Questa nostalgia dell’unità, questo appetito per l’assoluto, illustra l’impulso essenziale del dramma umano”. (Il mito di Sisifo)
In passato questa nostalgia di unità era alimentata da vari sistemi mitici, religiosi e filosofici che giustificavano l’esistenza terrena e le davano un senso.
Tuttavia, nato in un’epoca che lottava contro la morte di Dio, Camus non poteva credere nella validità di nessuna di queste visioni metafisiche del mondo.
“Se si dovesse scrivere l’unica storia significativa del pensiero umano, dovrebbe essere la storia dei suoi successivi rimpianti e delle sue impotenze.” (Il mito di Sisifo)
Contrariamente a molte visioni del mondo filosofiche e religiose che esaltano la divinità della ragione umana, Camus non credeva che essa avesse la capacità di afferrare qualsiasi verità o significato trascendente.
“Non so se questo mondo abbia un significato che lo trascende. Ma so che non conosco quel significato e che mi è impossibile, per ora, conoscerlo” (Il mito di Sisifo).
Questo pone a Camus un problema inquietante. Riconoscere che l’esistenza umana è un futile girotondo che non ha fine se non la morte, stimola l’appetito per la chiarezza, il desiderio di comprendere i principi ordinatori assoluti e lo scopo dell’universo. Ma la nostra ragione si limita all’evidenza della nostra esperienza e quindi, quando si tratta dei conforti spirituali che desideriamo, non ci può essere alcuna certezza.
Siamo come Tantalo, condannato per l’eternità a stare in una pozza d’acqua sotto un frutto sporgente che si ritirava ogni volta che lo raggiungeva. Il nostro profondo desiderio di un aldilà che giustifichi questa esistenza terrena rimarrà per sempre insoddisfatto e, sotto il flusso dell’esistenza quotidiana, ci sentiremo in fondo come estranei in un universo sconosciuto. Per questo motivo Camus concludeva che l’esistenza umana è assurda:
“L’uomo si trova faccia a faccia con l’irrazionale. Sente dentro di sé il desiderio di felicità e di ragione. L’assurdo nasce da questo confronto tra il bisogno umano e l’irragionevole silenzio del mondo”. (Il mito di Sisifo)
Non è che l’universo in sé sia assurdo, ma l’assurdo nasce dal nostro rapporto con l’universo – esiste nella tensione tra il nostro desiderio di unità e l’indifferenza dell’universo a questo desiderio. Nelle parole di Camus, “l’assurdo dipende tanto dall’uomo quanto dal mondo”.
Cosa fare di fronte alla consapevolezza che l’esistenza umana è assurda? Nel Mito di Sisifo Camus propone due strategie preliminari per affrontare questa consapevolezza: il suicidio fisico e il suicidio filosofico:
Alcune persone si suicidano fisicamente quando si rendono conto che la vita è assurda, credendo che se la vita non ha un significato non ne vale la pena.
Se il suicidio fisico è una “soluzione”, molti altri tendono a quello che Camus chiamava suicidio filosofico. Nel tentativo di fuggire dall’inquietante consapevolezza dell’assurdità della vita, essi fuggono attraverso la fede e la speranza. Nonostante l’assenza di prove, queste persone adottano la convinzione che al di là di questa esistenza terrena esista l’armonia assoluta, il nirvana, il significato o Dio.
Camus considera entrambi i tipi di suicidio – fisico e filosofico – come possibili risposte alla consapevolezza che la vita è assurda:
“L’assurdità della vita impone di sfuggirle attraverso la speranza o il suicidio: questo è ciò che va chiarito, cercato e chiarito, ignorando tutto il resto. L’assurdo impone forse la morte?”. (Il mito di Sisifo)
Pur ammettendo il suicidio come possibile risposta all’assurdo, Camus conclude che coloro che scelgono di suicidarsi fisicamente o filosoficamente non capiscono che mantenere la consapevolezza dell’assurdo senza optare per la morte rappresenta un traguardo, uno stato supremo di coscienza. Essere consapevoli dell’assurdo e del destino schiacciante che ci attende significa per Camus diventare superiori ad esso. Un tale individuo Camus lo chiamava “eroe assurdo”.
Il mantenimento di una lucida consapevolezza dell’assurdità della vita tende a stimolare naturalmente la “rivolta”, un sentimento di indignazione e di protesta contro la propria condizione tragica, e un rifiuto provocatorio di lasciarsi abbattere da essa.
“È un confronto costante tra l’uomo e la sua stessa oscurità. È un’insistenza su una trasparenza impossibile. È una sfida nuova al mondo ogni secondo… Non è un’aspirazione, perché è priva di speranza. La rivolta è la certezza di un destino schiacciante, senza la rassegnazione che dovrebbe accompagnarla”. (Il mito di Sisifo)
Rivoltarsi significa dire “no” alla propria assurda esistenza e, nel contempo, dire “sì” a un’altra esistenza, più desiderabile.
Questa affermazione implicita nella rivolta porta alla ribellione, che è il tentativo di rimodellare l’esistenza umana attraverso i propri sforzi:
“In ogni ribellione si trova la richiesta metafisica di unità, l’impossibilità di catturarla e la costruzione di un universo sostitutivo. La ribellione, da questo punto di vista, è un fabbricatore di universi”. (The Rebel: An Essay on Man in Revolt)
Nonostante il suo sano impulso iniziale, la ribellione non sempre porta a un cambiamento costruttivo.
Infatti Camus riteneva che le forme di ribellione distruttive, o quelle che lui chiamava “nichiliste”, fossero comuni, soprattutto nell’era moderna. Camus, che ha vissuto in mezzo ad alcuni dei peggiori regimi totalitari genocidi del XX secolo, li riteneva forme di ribellione contro l’assurdo. Riconoscendo che non esiste un “al di là” che giustifichi l’esistenza, questi movimenti esprimono l’odio per la vita e il desiderio, in un universo senza Dio, di svolgere il ruolo sia di Dio che di diavolo:
“Con il trono di Dio rovesciato, il ribelle riconosce che spetta a lui creare… questa giustizia, questo ordine, questa unità… e, così facendo, giustificare la caduta di Dio. Inizia allora lo sforzo disperato di creare, al prezzo del crimine se necessario, l’impero dell’uomo”. ((Il ribelle: un saggio sull’uomo in rivolta))
Tutte le forme di ribellione nichilista giustificano l’omicidio e la distruzione che impongono al mondo attraverso l’affermazione che in un universo assurdo, se nulla è vero e non ci sono valori morali, allora tutto è permesso:
“Se non crediamo in nulla, se nulla ha un significato e se non possiamo affermare alcun valore, allora tutto è possibile e nulla ha importanza”. ((Il ribelle: saggio sull’uomo in rivolta)).
Camus riteneva che le ribellioni nichiliste fossero tentazioni costanti, facendo appello all’universale “desiderio di unità” comune a tutti. I principali movimenti socialisti del XX secolo, ad esempio, partendo dalla consapevolezza dell’assurdo e dalla perdita di fede nel divino, si sono rivolti alla storia in cerca di salvezza, sostenendo l’avvento di un’utopia.
“Il socialismo è quindi un’impresa di divinizzazione dell’uomo e ha assunto alcune caratteristiche delle religioni tradizionali”. ((Il ribelle: saggio sull’uomo in rivolta)).
Quando la verità, la giustizia, l’armonia – un’utopia – sono postulati per esistere nel futuro, la realizzazione di questa utopia situata alla “fine della storia” diventa l’unica misura del valore, e ogni mezzo che si pensa possa contribuire alla sua realizzazione è giustificato; che si tratti della negazione della libertà individuale, della tortura o persino del genocidio:
“Se è certo che il regno verrà, che importanza ha il tempo? La sofferenza non è mai provvisoria per l’uomo che non crede nel futuro. Ma cento anni di sofferenza sono fugaci agli occhi dell’uomo che profetizza, per il centounesimo anno, la città definitiva” ((The Rebel: An Essay on Man in Revolt)
Queste ribellioni “nichiliste” sono caratterizzate da quella che Camus chiamava una richiesta di totalità. Cercando di raggiungere l’impossibile, sradicando completamente l’assurdità dell’esistenza umana e realizzando un’utopia, esse provocano distruzione, caos e sofferenza nel mondo in nome di un’illusione.
“La totalità non è altro, in effetti, che l’antico sogno di unità comune a credenti e ribelli, ma proiettato orizzontalmente su una terra priva di Dio” ((The Rebel: An Essay on Man in Revolt).
In contrasto con le ribellioni nichiliste, che inquinano il significato originale e autentico della ribellione, Camus ha sostenuto quella che riteneva essere una forma genuina di ribellione che riconosce la necessità di valori comuni condivisi e cerca di portare alla solidarietà, alla libertà individuale e a una relativa armonia tra gli esseri umani:
“Se gli uomini non possono riferirsi a un valore comune, riconosciuto da tutti come esistente in ciascuno, allora l’uomo è incomprensibile all’uomo”. ((Il ribelle: saggio sull’uomo in rivolta).
Camus credeva che tali valori comuni potessero essere raggiunti attraverso il riconoscimento che tutti gli esseri umani sono figli dell’assurdo. È l’assoggettamento a un destino tragico comune e la protesta contro la nostra condizione che ci unisce e ci lega in una “solidarietà di catene”. “Mi ribello”, scriveva Camus, “quindi esistiamo”.
Con la consapevolezza che l’assurdità dell’esistenza umana non può essere completamente sradicata, l’autentica ribellione non mira alla realizzazione di un’utopia con mezzi distruttivi, come fanno le ribellioni nichiliste, ma riconosce la dignità e i diritti degli altri e cerca di attuare l’unità tra gli individui:
“Senza dubbio il ribelle esige una certa libertà per se stesso; ma in nessun caso chiede, se è coerente, il diritto di distruggere la persona e la libertà di qualcun altro. Non degrada nessuno. La libertà che esige la rivendica per tutti; quella che rifiuta la proibisce a tutti gli altri. Non è semplicemente uno schiavo che si oppone al suo padrone, ma un uomo che si oppone al mondo dei padroni e degli schiavi”. ((Il ribelle: saggio sull’uomo in rivolta)).
Legato da una lotta comune all’interno di una condizione assurda, Camus immaginava una comunità che si sollevava e si ribellava contro i mali e le ingiustizie del mondo. Tuttavia, Camus non era del tutto ottimista sul fatto che una tale situazione si sarebbe realizzata.
Nel suo libro La caduta esplorò la possibilità di un mondo in cui nessuno raccoglie la sfida di lottare contro l’ingiustizia e in cui la solidarietà e quindi la pace e l’armonia relative non vengono mai raggiunte. La preoccupazione di Camus era ben fondata.
Ai nostri giorni la libertà in molti settori della vita sta diminuendo e i governi di tutto il mondo spingono le persone a sacrificare le libertà personali per la promessa di un’armonia e di una sicurezza future. Se questa tendenza continua, Camus aveva un consiglio preveggente per coloro che si rifiutano di camminare su questa linea, ma preferiscono la libertà:
“L’unico modo per affrontare un mondo non libero”, scrisse, “è diventare così assolutamente liberi che la vostra stessa esistenza è un atto di ribellione”. ((Il ribelle: saggio sull’uomo in rivolta))