La mente di un neonato è una tabula rasa, in attesa di stimoli e input dal mondo per ottenere struttura e forma? Oppure ha una struttura preformata che influenza il modo in cui sperimentiamo il mondo? Questa domanda ha interessato a lungo psicologi e filosofi. Carl Jung, psichiatra del XX secolo e fondatore della psicologia analitica, riteneva che fosse la seconda ipotesi.

Secondo Jung, esistono “strutture psichiche identiche comuni a tutti” che sono ereditabili e influenzano il modo in cui tutti gli esseri umani sperimentano il mondo. In questo video forniremo un’introduzione dettagliata agli archetipi di Jung, spiegando cosa sono, come influenzano la nostra vita, il loro rapporto con i simboli e le idee di Jung sulla connessione tra esperienze religiose e archetipi.

Carl Jung, oltre a essere uno psichiatra praticante, è stato uno dei maggiori esperti nello studio della simbologia religiosa e mitologica. È stato il lavoro in questi due campi che lo ha portato alla scoperta degli archetipi. Studiando i miti e le religioni delle culture passate e presenti, Jung notò che molti di essi condividevano schemi, temi e simboli simili. Questo era già di per sé interessante, ma ciò che incuriosì ulteriormente Jung fu che alcuni di questi stessi temi e simboli emergevano nei sogni e nelle fantasie dei pazienti che soffrivano di schizofrenia. Che cosa poteva spiegare queste somiglianze?

Jung propose che la mente umana, o psiche, non è esclusivamente il prodotto dell’esperienza personale, ma contiene piuttosto elementi pre-personali, o transpersonali, comuni a tutti. Questi elementi furono chiamati archetipi e propose che è la loro influenza sul pensiero e sul comportamento umano che dà origine alle somiglianze tra i vari miti e le varie religioni.

Per comprendere correttamente il ruolo degli archetipi dobbiamo prima spiegare la concezione di Jung della psiche. Jung descriveva la psiche come la personalità totale di una persona, che comprende tutti i suoi pensieri, comportamenti, sentimenti ed emozioni. Jung ha suddiviso la psiche in tre ambiti principali: la coscienza, l’inconscio personale e l’inconscio collettivo. Questi tre ambiti non sono chiusi l’uno all’altro, ma interagiscono costantemente in modo compensativo.

Il regno della coscienza è semplicemente il campo di consapevolezza di una persona, costituito da quei contenuti psichici di cui si ha conoscenza. In altre parole, ogni esperienza che entra nel campo della consapevolezza assume la qualità di coscienza.

L’ambito cosciente della psiche, pur essendo estremamente importante di per sé, secondo Jung è sminuito dalla portata dell’ambito inconscio. L’inconscio consiste in quei contenuti psichici di cui non si è consapevoli e Jung lo ha diviso in due parti principali: l’inconscio personale e l’inconscio collettivo. L’inconscio personale, come suggerisce il nome, è particolare per ogni individuo. È costituito da eventi della propria vita che vengono considerati insignificanti, dimenticati o repressi a causa della loro natura angosciante.

Oltre all’inconscio personale, esiste un regno più profondo e fondamentale dell’inconscio che Jung ha chiamato inconscio collettivo. L’inconscio collettivo consiste in “strutture psichiche” o “categorie cognitive” che non sono uniche per l’individuo, ma piuttosto sono condivise da tutti, influenzando i nostri pensieri, i nostri comportamenti e il modo in cui guardiamo il mondo. In altre parole, l’inconscio collettivo è la casa degli archetipi. Come disse Jung:

“Dall’inconscio emanano influenze determinanti… che, indipendentemente dalla tradizione, garantiscono in ogni singolo individuo una somiglianza e persino un’identità dell’esperienza, e anche del modo in cui essa viene rappresentata immaginativamente”. (Gli Archetipi e l’Inconscio Collettivo, Carl Jung)

L’allievo di Jung, Erich Neumann, utilizzò l’analogia degli organi fisici per illuminare il concetto di archetipi. Come il corpo è strutturato da organi che si formano in gran parte prima della nascita, così la mente possiede organi psichici che la strutturano, cioè gli archetipi. Inoltre, proprio come gli organi fisici, nella maggior parte dei casi, operano senza consapevolezza, così fanno gli archetipi. E soprattutto, così come un adeguato funzionamento degli organi fisici è essenziale per un corpo sano, una mente sana dipende dal corretto funzionamento degli archetipi, come spiega Neumann:

“Gli elementi strutturali archetipici della psiche sono organi psichici dal cui funzionamento dipende il benessere dell’individuo e la cui lesione ha conseguenze disastrose”. (Origini e storia della coscienza, Erich Neumann).

Una differenza importante tra gli organi fisici e gli archetipi è che mentre gli organi fisici possono essere osservati direttamente con i sensi, gli archetipi non possono esserlo. L’esistenza degli archetipi è rivelata dalle disposizioni che essi producono nella coscienza, ossia attraverso la manifestazione di immagini simboliche.

È solo attraverso l’interpretazione dei simboli manifestati dagli archetipi che si può comprendere lo schema archetipico della mente umana. Edward Edinger, nella sua opera Ego and Archetype, fornisce una spiegazione di cosa sia un simbolo, rispetto alla psicologia junghiana, contrapponendolo a un segno:

“Un segno è un segno di significato che sta per un’entità conosciuta. Secondo questa definizione, il linguaggio è un sistema di segni, non di simboli. Un simbolo, invece, è un’immagine o una rappresentazione che indica qualcosa di essenzialmente sconosciuto, un mistero. Un segno comunica un significato astratto e oggettivo, mentre un simbolo trasmette un significato vivo e soggettivo”. (Ego e Archetipo, Edward Edinger)

Mentre i segni, secondo questa definizione, indicano cose definite che esistono nel mondo, i simboli non rappresentano cose che esistono nel mondo fisico, ma piuttosto indicano l’esistenza di elementi sconosciuti della psiche o di schemi dell’inconscio. Come dice Jung:

“Ogni volta che parliamo di contenuti [simbolici] ci muoviamo in un mondo di immagini che indicano qualcosa di ineffabile. Non sappiamo quanto queste immagini, metafore e concetti siano chiari o meno rispetto al loro oggetto trascendentale. . (Tuttavia) non c’è dubbio che dietro queste immagini ci sia qualcosa che trascende la coscienza e che opera in modo tale che le affermazioni non variano in modo illimitato e caotico, ma si riferiscono chiaramente tutte ad alcuni principi o archetipi di base”. (Psicologia e religione, Carl Jung)

È importante sottolineare che gli archetipi non manifestano lo stesso esatto insieme di immagini simboliche per ogni persona. Piuttosto, gli archetipi forniscono la struttura, non la forma specifica dell’immagine simbolica. La forma specifica che le immagini assumono varia da cultura a cultura e anche individualmente. Tuttavia, come ha affermato Jung nel passo appena citato, la manifestazione simbolica degli archetipi “non varia in modo illimitato e caotico”. Pertanto, prendendo nota e riflettendo sui simboli che si manifestano nella coscienza, si può ottenere la conoscenza della struttura archetipica della mente. Erich Neumann descrive il ruolo del simbolo nel produrre la conoscenza degli archetipi nel modo seguente:

“La forma di rappresentazione propria dell’inconscio non è quella della mente cosciente. Essa non tenta né è in grado di afferrare e definire i suoi oggetti in una serie di spiegazioni discorsive e di ridurli a chiarezza mediante l’analisi logica. La via dell’inconscio è diversa. I simboli si raccolgono intorno alla cosa da spiegare, comprendere, interpretare. L’atto del divenire cosciente consiste nel raggruppamento concentrico di simboli intorno all’oggetto, che circoscrivono e descrivono l’ignoto da molti lati. Ogni simbolo mette a nudo un altro lato essenziale dell’oggetto da cogliere, indica un’altra sfaccettatura del significato. Solo il canone di questi simboli che si riuniscono intorno al centro in questione, il gruppo di simboli coerenti, può portare alla comprensione di ciò che i simboli indicano e di ciò che stanno cercando di esprimere”. (Origini e storia della coscienza, Erich Neumann).

Per fornire un esempio dei tipi di simboli che vengono manifestati dagli archetipi, esamineremo l’archetipo che Jung chiamava il Sé. Il Sé è l’archetipo centrale e il suo ruolo è quello di unificare le altre strutture archetipiche della psiche. Secondo Jung, l’importanza dell’archetipo del Sé coincide con il fatto che è la fonte di molti dei simboli presenti nelle religioni e nei miti. Edward Edinger, in Ego and Archetype, rivela l’ampia gamma di simboli manifestati dal Sé:

“[Il Sé è] espresso da alcune immagini simboliche tipiche chiamate mandala. Tutte le immagini che enfatizzano un cerchio con un centro e di solito con la caratteristica aggiuntiva di un quadrato, di una croce o di qualche altra rappresentazione della quaternità, rientrano in questa categoria… Ci sono anche una serie di altri temi e immagini associati che si riferiscono al Sé. Temi come l’interezza, la totalità, l’unione degli opposti, il punto centrale generativo, il mondo navale, l’asse dell’universo. … l’elisir di lunga vita – si riferiscono tutti al Sé, alla fonte centrale dell’energia vitale, alla sorgente del nostro essere, che è più semplicemente descritta come Dio. In effetti, le fonti più ricche per lo studio fenomenologico del Sé sono le innumerevoli rappresentazioni che l’uomo ha fatto della divinità”. (Ego e Archetipo, Edward Edinger)

È interessante notare che Jung riteneva che le varie rappresentazioni delle divinità nei miti e nelle religioni, sia del passato che del presente, fossero alla base manifestazioni simboliche dell’archetipo del Sé. Tuttavia, Jung non intendeva in alcun modo ridurre la divinità a un prodotto della mente dell’uomo, anzi, come scrisse:

“Questo non significa certo che ciò che chiamiamo inconscio sia identico a Dio o che sia stato creato al suo posto. È semplicemente il mezzo da cui sembra scaturire l’esperienza religiosa. Quanto a quale possa essere la causa ulteriore di tale esperienza, la risposta va oltre la portata della conoscenza umana. La conoscenza di Dio è un problema trascendentale”. (L’io sconosciuto: il dilemma dell’individuo nella società moderna, Carl Jung).

Per tutta la vita Jung lottò con la domanda su quale fosse la fonte ultima degli archetipi. A volte suggerì che essi fossero sorti in modo evolutivo e fossero soggetti a cambiamenti nel corso di lunghi periodi di tempo. Il brano seguente riflette questa visione:

“L’uomo “possiede” molte cose che non ha mai acquisito ma che ha ereditato dai suoi antenati. Non nasce come una tabula rasa, ma solo come un essere inconsapevole. Ma porta con sé sistemi organizzati e pronti a funzionare in modo specificamente umano, che deve a milioni di anni di sviluppo umano”. (Opere raccolte di C.G. Jung: Volume 4, Carl Jung)

Tuttavia, Jung aveva anche simpatia per l’idea che gli archetipi potessero essere simili alle forme platoniche esistenti come un tipo di entità immutabile e trascendentale. Come scrisse Jung a un certo punto:

“Se questa struttura psichica e i suoi elementi, gli archetipi, abbiano mai ‘avuto origine’ è una questione metafisica e quindi non risolvibile”. (Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Carl Jung).

Qualunque sia la loro origine ultima, Jung riteneva che gli archetipi svolgessero un ruolo immenso nella vita di tutti gli individui. Diventando sempre più consapevole degli schemi archetipici attraverso i simboli che manifestano nella psiche, l’individuo sperimenta un’espansione della coscienza. Tale espansione, secondo Jung, è di fondamentale importanza, poiché, come egli stesso afferma, “il compito dell’uomo è…”:

“Il compito dell’uomo è… diventare consapevole dei contenuti che salgono dall’inconscio. Non deve persistere nella sua inconsapevolezza né rimanere identico agli elementi inconsci del suo essere, sottraendosi così al suo destino, che è quello di creare sempre più coscienza. Per quanto possiamo scoprire, l’unico scopo dell’esistenza umana è quello di accendere una luce nell’oscurità del semplice essere”. (Ricordi, sogni, riflessioni, Carl Jung)